L'identicità di vita e processo psicoanalitico

E' nel momento in cui la psicoanalisi cessa di essere la psicoanalisi per essere la vita stessa nella sua interezza che la psicoanalisi muore come separata dalla vita per rinascere come la nuova psicoanalisi oltre la psicoanalisi.
Quindi non ci devono meravigliare le tante critiche mosse alla psicoanalisi dai suoi detrattori nel corso del suo sviluppo da una psicoanalisi istintuale, poi pulsionale, poi ancora relazionale, intersoggettiva e infine intersoggettiva radicale: "nessuno nasce imparato" come si suol dire e questo vale anche per la psicoanalisi che ha dovuto fare un lungo apprendistato, una gavetta che noi chiamiamo, periodizzando così la stessa centenaria storia della psicoanalisi con il termine di "preistoria della psicoanalisi" rispetto a una nuova psicoanalisi che chiamiamo anche "psicoanalisi allo stato dell'arte" che coincide con la scienza vera e vera proprio perchè la scienza dell'uno-duale che solo è l'uno vero essendo l'altro Uno invece proprio quell'Uno che nasce da quel soggetto ancora individuale (SRI) che è Uno quando e solo quando come padrone del significato non manca del suo servo che accetta di farsi oggetto conosciuto di un soggetto conoscente in una vera e propria mascherata o commedia delle parti che però anch'essa ha prodotto l'evoluzione (la visione di una positività anche dell'alienazione che si trova in Hegel) ma che oggi invece al termine della storia della psicoanalisi è più solo una carnevalata come lo è il transfert psicoanalista-psicoanalizzato quando recitano la parte di colui che sà rispetto a chi non sa. E cos'è che recitano? Quale commedia? Recitano il gioco della dipendenza: roba vecchia insomma ma che comunque dà loro piacere, al padrone perchè lo fa essere e al servo perchè gli dà la sensazione di essere anch'egli significativo reggendo la parte al padrone del significato così anche il servo diventa a suo modo un VIP e quando uno dei due non vuole più stare al gioco per qualche motivo si rimedia immediatamente con il "controtransfert", che è la scappatoia che giunge in aiuto quando la relazione sembra crollare ovvero quando la commedia alla lunga non regge più, un aiutino insomma non solo per il paziente, il servo ma anche per l'analista, il padrone. 
Questo ci insegna che l'unico vero problema della vita e anche l'unica vera questione filosofica o teologica che dir si voglia riguarda solo la problematica ontologica: la questione dell'Essere come ben è stato espresso nell'Amleto del drammaturgo inglese del 1500:

"To be or not to be: this is the question."


La via di conoscenza cristica che si evolve in psicoanalitica e l'ultima mutazione biologica dell'Anthropos

- La specie homo (2 milioni di anni fa)

- La differenziazione in 20/24 specie umane (che hanno fatto la sola storia del alvoro umano come sola storia della tecnica)

- L'ultima specie "homo" e la più evoluta: l'homo sapiens sapiens (100 mila anni fa che oltre a proseguire la storia del lavoro umano come storia della tecnica manifestazione di resti dell'estroversione umana dà nascita anche alla storia della medicina in cui l'introversione comincia a manifestare la volontà di farsi scienza, sapere.)

- 30.000 anni fa termina la guerra della specie homo sapiens sapiens con tutte le rimaste altre specie umane completamente estroverse riducendole alla estinzione grazie alla sua maggior immaginazione che si riverberava anche nella stessa tecnica.

Nota: al riguardo va anche detto che è vero che l'homo sapiens sapiens ha copulato anche con il Neandhertal ma quando una donna sapiens sapiens copulava con un maschio Neandhertal, il figlio che nasceva maschio o femmina che fosse non era Neandhertal come il padre ma sapiens sapiens come la madre. Questo è stato accertato dalle ricerche paleoantropologiche. Quindi l'umanità attuale a qualsiasi razza appartengano nasce tutta da donne sapiens sapiens. Mentre e al contrario se il padre era sapiens sapiens che copulava con una donna Neandhertal i figli che nascevano erano tutti comunque anch'essi come la madre cioè Neandhertal.

- 2000 anni fa per convenzione si suol datare la nascita della via cristica all'evoluzione

- 1895 la via cristica si fa scienza psicoanalitica preparando l'ultimo salto evolutivo oltre la vecchia umanità: la nuova e vera umanità nata al termine della storia della psicoanalisi quali fondatori del REGNO (specificamente) UMANO o cittadini della CITTA' DI DIO.


L'ultima mutazione favorita e innescata sincronisticamente dalla nascita e dallo sviluppo della via di conoscenza psicoanalitica che ha avuto i suoi inizi con il 1895 a Vienna in Europa quale continuazione ad un più alto livello di consapevolezza sempre di quella stessa via di conoscenza cristica iniziata circa 2000 anni prima, a Nazareth in Israele.
Questa nuovo modo di intendere il processo psicoanalitico può apparire una caratteristica peculiare di Silvia Montefoschi che noi appelliamo anche come “l’ultima psicoanalista” in quanto chiude la storia centenaria della psicoanalisi, ma non è così nuova seppur dirompente, il modo di intendere la psicoanalisi da parte di Silvia Montefoschi, poichè addirittura il primo psicoanalista cioè Sigmund Freud infine, una volta conclusasi la prima fase dell’elaborazione del metodo psicoanalitico, fu proprio lui che arrivò a dire che la psicoanalisi è riduttivo continuare a volerla definire come una psicoterapia la cui finalità sarebbe la guarigione ma è molto di più, è una nuova via di conoscenza.
Quindi Silvia Montefoschi affermando ciò, dice la stessa cosa di Freud e a quanto diceva già Freud ai primordi della storia del movimento psicoanalitico aggiunge soltanto che questa via di conoscenza o “processo” “individuativo” per dirlo invece con le parole di Jung, non è altro da noi ma noi e il processo psicoanalitico siamo la stessa cosa.
“Io sono la psicoanalisi”: questa è quindi la mia traduzione di quanto affermato dall’ultima psicoanalista che proclamando “la morte della psicoanalisi ” dopo cento e passa anni di elaborazioni, proclama la identicità tra vita e processo psicoanalitico e con questa identicità viene meno l’alienazione di cui già la bibbia ebraico-cristiana parlava distinguendo tra “albero della vita” e “albero della conoscenza”.
“Io sono il processo”, “io sono la psicoanalisi”, significa quindi, almeno nella lettura che io ne dò del testo montefoschiano, che  “io sono il processo conoscitivo che mi attraversa” e che quindi rifuggo dal considerare tale processo conoscitivo come una sovrastruttura altra dalla mia vera natura che sono costretto inevitabilmente e mio malgrado ad accettare e a sopportare come una croce innaturale e quindi anche come un destino ingrato.
In una parola: il processo conoscitivo è da considerarsi come la vera natura e la vera identità umana della nuova e vera umanità altra dalla più primitiva e preistorica vecchia umanità ancora ignara del suo vero destino evolutivo.
Teilhard de Chardin, teologo evoluzionista su questo punto è stato chiaro: “Noi non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale. Noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana.”
E’ proprio questo equivoco che il metodo psicoanalitico o come noi diciamo anche, “la vita psicoanalitica”, intenzionata cioè in questo senso, è chiamata a dipanare e risolvere una volta per tutte. Nel linguaggio più rigoroso e meno letterario utilizzato da Silvia Montefoschi nei suoi testi, tutto questo si traduce dicendo che compito di quella nuova via di conoscenza sorta alla fine del 1800 ad opera di Sigmund Freud grazie principalemente alla interpretazione dei sogni quale via maestra per l’inconscio e alla trattazione del transfert, è quello di condurre a compimento una critica radicale del modello relazionale interdipendente.
In questo senso la psicoanalisi rappresenta una resa dei conti finale, uan sorta di “battaglia apocalittica di Armageddon”  tra le forze entropiche e nichilistiche e le forze negaentropiche e vitali di una volontà di essere, sempre essere, eternamente essere.
Silvia Montefoschi, come vedremo dalla lettura della biografia nasce come biologa ed è principalmente nelle scienze biologiche naturali che si forma il suo pensiero, e solo dopo è giunta alla psicoanalisi. Questo significa che la spina dorsale di tutto il suo pensiero è l’introduzione della concezione evoluzionistica introdotta nel corso del 1800 nelle scienze naturali ma anche questo concetto di evoluzione nel pensiero psicoanalitico di Silvia Montefoschi va inteso come processo conoscitivo: è cioè la stessa natura che nel conoscer se stessa si trasforma dandosi nuova forma fino all’ultima forma che è la forma umana che non chiude la storia del processo evolutivo e conoscitivo ma è quella particolare forma che realizza il progetto di traghettare questo darsi forma del pensiero, dalle forme ancora materiali fino al pensiero puro o per dirla con un linguaggio che richiama il pensiero di Hegel e la dialettica soggetto-oggetto del fatto conoscitivo: “E infine il soggetto per esserci non avrà più bisogno di declinarsi ancora e necessariamente in un oggetto”.
E con questo abbiamo già anticipata la concezione del soggetto propria al “Pensiero Uno oltre la psicoanalisi” e la logica che gli è propria e che è la nuova logica unitaria: questa nuova concezione del soggetto è quella del nuovo “soggetto duale” che solo può dare il benservito e affrancarsi definitivamente dal vecchio e evolutivamente obsoleto soggetto riflessivo ancora individuale che è stato comunque il protagonista e l’artefice di tutta la storia evolutiva umana. Questo affrancamento è reso possibile in quanto solo un nuovo soggetto che sia duale e non più un soggetto ancora singolare può realizzare una super-riflessione in grado di demassificare l’intero universo sia materiale che psichico includendovi anche la noosfera quale sfera dei pensieri statici (la materia-memoria di cui parlava già Bergson)  che è comunque ancora altro dalla vera dinamica del pensiero vivente.


La concezione dell’Unico Individuo
“Il rischio degli psicologi e degli psicoanalisti oggi è quella di appiattire la vicenda umana che è la vicenda universale dell’Unico Individuo.”

(Intervista a Silvia Montefoschi – Milano 2003)


Il disegno
“Ricordo un sogno di tanti anni fa in cui la sognatrice sognava: ” se stessa con una matita in mano su un foglio con la testa china, la sognatrice disegna ma non vede ciò che fa, allora io gli tiro su la testa e lei vede il suo disegno. In questo sogno è presente la metafora della psicoanalisi quale funzione riflessiva.”

(Silvia Montefoschi- Brano tratto da “Intervista a Silvia Montefoschi”)


La figlia di Hegel
“A Hegel mancava la conoscenza dell’evoluzione”
(S.Montefoschi, “Psicoanalisi e dialettica del reale” 1984, cit.pag.127)

“Il metodo psicoanalitico è l’attuazione concreta della dialettica hegeliana, in quanto in esso è il soggetto umano e non più un soggetto astratto, a prendere da sé la distanza riflessiva per conoscere se stesso”

(S.Montefoschi, “Psicoanalisi e dialettica del reale”, 1984)


Un possibile equivoco sull’Unico Individuo che è invece anche oltre la stessa coppia così come è comunemente intesa
“Solo quando la percezione dell’unione delle presenze pensanti uscirà dal chiuso di una esperienza personale, anche se fatta nella dualità della coppia dialogante, e si darà non più frammentata nei tanti incontri duali tra loro separati dallo spazio e dal tempo, si realizzerà un punto di vista ancora superiore dal quale si vede che l’essere tutto non è se non relazione.
Punto di vista questo che si dà ponendoci noi stessi oltre l’universo e che si realizzerà quando arriveremo a riconoscere la nostra identità solamente nella nostra presenza pensante; e ciò faremo superando la coazione a ripetere della percezione sensoriale, che ci costringe ancora nel limite della forma corporea materiale, forma questa che ci mantiene inevitabilmente separati, nel reciproco vederci ognuno oggetto della visione dell’altro come illusoriamente ci attesta il senso della vista.
E ciò che ci farà raggiungere questo estremo punto di vista del pensiero è ancora il lavoro che dobbiamo fare nel contenere la coazione a ripetersi della logica formale, e quindi nel continuare a esercitare la forza di volontà e vietarci, grazie alla costante vigilanza della presenza riflessiva, di aderire alla immediatezza verbale, che riconferma l’immediatezza del pensare giudicante, fondato radicalmente su la separazione dei contrari (come il vero e il falso, il bene e il male), in quanto già di per sè separa colui che giudica da quanto viene giudicato.
E solo nel perseverare in questo faticoso esercizio del mantenere costantemente vigile la presenza riflessiva, noi vediamo anzitutto il nostro ricadere nella logica della separazione e quindi il suo non essere più coerente con la visione unitaria, che sappiamo viceversa essere l’unica veritiera, solo così facendo noi operiamo ai fini che avvenga lo svelamento, nella percezione della nostra stessa realtà vivente, della logica dell’uno tutt’uno con l’uno che non può dire di sè se non è cio che è.”

(Silvia Montefoschi “L’avvento del regno specificamente umano”, 2004, pag.61)

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