"... Tornando allora
al nostro discorso sull'avvento di un'era in cui l'umanità deve farsi
imperitura, possiamo forse dire che, se finora l'evolversi conoscitivo
dell'universo, a partire dal primo elettrone, ha proceduto grazie al formarsi
di sistemi sempre più complessi attraverso il ripetuto infrangersi dei sistemi
stessi e quindi attraverso ripetuti incesti, oggi sembra essersi fatto
essenziale per l'economia dell'universo che il compiersi dell'incesto contempli
una presenza che, in quanto soggetto riflessivo, rispecchi l'evento incestuoso,
cioè il destrutturarsi e il ricrearsi della forma dell'essere; perché soltanto
in questo modo l'universo potrà rispecchiare a se stesso il proprio grandioso
mutamento, e diventare consapevole della propria continuità nella
trasformazione, cioè consapevole di portare perennemente con sé, nel suo stesso
esistere, la sua non esistenza.
Perché ciò sia possibile
l'uomo deve dunque arrivare a far coincidere la propria identità con quella
dell'intero sistema umano, il che a sua volta è possibile solo se l'uomo arriva
a perdere di vista il corpo particolare che egli è, per allargare la sua
visione ad una dimensione spazio-temporale che abbracci il corpo dell'universo
umano.
Ma il corpo, in quanto oggetto di un soggetto,
si costituisce a quest'ultimo in quanto visto da lui.
Come può l'uomo distogliere la vista
dall'individualità che egli è?
Il sacrificio cristiano ci ha già insegnato a
non riferire più il senso del nostro essere al mondo alla percezione immediata
che abbiamo di noi come enti particolari, che per sopravvivere come tali devono
appagare bisogni e desideri personali. E pertanto ci ha già insegnato a
riconoscerci portatori in prima persona di un movimento realizzativo
dell'essere, che è la volontà di Dio per ciascuno di noi, e quindi a
riconoscerci in Dio.
Qual è il passo ulteriore che bisogna fare?
Si tratta ancora di un sacrificio. E questo
nuovo sacrificio è il passo che porta forse a compimento quel processo di
trasformazione della coscienza che il secondo peccato ha messo in movimento e
che si presenta come nuovo atto redentivo nei confronti del nuovo peccato
originale.
Ciò che oggi si deve sacrificare è proprio la
privatezza del discorso con Dio, l'appropriazione da parte del singolo uomo
cristiano del rapporto diretto che la sua coscienza cristica instaura con la
dimensione universale dell'essere che gli si rivela dall'inconscio.
E ciò perché il suo terzo occhio non potrà mai
realizzare la visione del "tutto" fintanto che la sua visione passa
attraverso il raggio dell'occhio del singolo soggetto conoscente. E fintanto
che l'uomo avrà una visione parziale di quel continuum psichico che è
l'inconscio umano, e che possiamo considerare il codice genetico dell'umanità
quale organismo totale, egli non potrà arrivare a conoscere l'organismo umano
come un tutto. E in tal modo l'uomo non arriverà mai a riconoscere
esperienzialmente nel suo interno ciò che è il suo esterno nella totalità, cioè
il sistema conoscitivo che struttura il corpo dell'umanità; e tanto meno arriverà
a riconoscere che l'esterno verso il quale guarda il suo occhio è ancora un
interno, l'interno dell'organismo sociale.
E' vero che l'uomo cristiano vede
intuitivamente se stesso come partecipe dell'universale e vede anche, sempre
grazie all'occhio della rivelazione, che il mondo a lui esterno è l'interno di
un più ampio sistema. Ma in questo interno egli vede se stesso ancora come
corpo individuale. Egli sa, sempre intuitivamente, di essere un elemento di una
più ampia corporeità, una cellula del corpo di Dio. Ma questo corpo egli non
può vederlo nella sua totalità, proprio perché resta al suo interno.
La situazione che si verrebbe a creare
nell'organismo sociale, se questa rimanesse la sola visione dell'uomo, è simile
a quella che si verificherebbe nel singolo organismo umano se ciascuno degli
elementi cellulari che lo compongono, portatore in sé della conoscenza del
tutto, rivolgesse soltanto all'interno il suo sguardo, non riconoscendo come
altrettanto essenziali alla sopravvivenza del tutto gli elementi che lo
circondano.
Gli elementi cellulari cesserebbero così di
riconoscersi a vicenda come ugualmente partecipi al funzionamento di quella
totalità individualizzata da un sistema di conoscenza unitario che è appunto
l'individuo umano. E cesserebbero anche di scambiarsi reciprocamente le
informazioni e di partecipare alla consapevolezza della totalità.
In tal modo l'individuo umano, come sistema di
conoscenza, non potrebbe mai realizzare la coscienza di sé, cioè proprio quel
soggetto cosciente che noi siamo, punto di convergenza della conoscenza degli
elementi che compongono il tutto, che si fa occhio che guarda all'esterno e
dall'esterno guarda a se stesso come totalità.
Qual è allora il nuovo sacrificio che il Dio
profondità, tramite l'uomo, si accinge a fare?
Sembra che ciò che si deve sacrificare sia
proprio la coscienza cristica. Ma la coscienza cristica è il nuovo sistema di
conoscenza che Gesù, salendo sulla croce, ha proposto all'uomo di realizzare
attraverso l'imitazione, affinché l'uomo, nell'imitarlo, si facesse anch'egli
un Cristo crocefisso.
È allora proprio il Cristo crocefisso,
testimone di una sacrificalità ancora soltanto individuale, che va offerto
sull'altare di un ulteriore divenire.
(...) E sembra che proprio questo secondo
sacrificio, il sacrificio di Gesù che già sacrifica se stesso facendosi Cristo,
ci faccia trapassare ad una nuova condizione d'esistenza, il cui tempo verrà
scandito dal ritmo delle morti e delle nascite individuali, e in cui l'uomo arriverà
a vedere la propria età nel succedersi delle generazioni, come il geologo vede
nel succedersi delle ere l'età della terra.
È sempre l'inconscio a confermare questa
ipotesi, servendosi dei sogni della gente. Esso avverte che Cristo ha dovuto
sacrificare la propria corporeità perché viveva in un'epoca mortale, mentre
oggi si va verso l'immortalità.
C'è un altro messaggio che si fa sempre più
frequente e sempre più esplicito circa il senso del transitus che Cristo
rappresenta. Messaggio che l'inconscio ha già avanzato e che l'uomo ha espresso
con la sua arte figurativa, raffigurando il Cristo appeso all'albero della
vita.
Ma, cosa veramente stupefacente, l'albero
della vita che compare nei sogni è spesso il melograno, che è anche l'albero su
cui Cristo è crocefisso in un dipinto di Giotto.
Appare allora chiaro che chi deve compiere il
sacrificio questa volta non è Gesù, e per lui l'uomo adamico che accettando la
lacerazione della contraddizione trapassa in Cristo, cioè nell'uomo cristico
che accoglie nella propria individualità l'universale, ma è proprio
l'individualità. L'uomo cristico, cioè colui che ha raggiunto la totalità
dialettica della personalità individuale, deve rinunciare al possesso personale
della sua visione, alla privatezza del suo dialogo interiore, per unirsi, come
totalità egli stesso, ad altre totalità in una totalità più ampia, che il
frutto del melograno simboleggia.
L'albero del melograno infatti sembra proprio
riferirsi a quel nuovo piano dell'essere sul quale Cristo stesso si sacrifica e
sul quale risorge come nuovo organismo vivente; organismo che a sua volta si
presenta come l'insieme di più organismi in un tutto, come i grani dentro il
frutto del melograno e come i frutti del melograno sulla pianta che, essendo
l'albero della vita eterna, non può che riprodurli all'infinito.
L'uomo di scienza ha imparato presto a vedere
in queste sintesi di elementi semplici in elementi sempre più complessi le
tappe dell'evoluzione della vita fino alla specie umana.
Ma, sempre a causa di
quella distinzione sostanziale che l'essere umano si è abituato a fare tra la
sua coscienza e il resto del reale, egli ha trascurato, o forse evitato, di
considerare il fatto che la sua stessa coscienza sarebbe stata un giorno
coinvolta nella dinamica dell'evoluzione.
Quel giorno sembra stia per sorgere, proprio
ad oriente del giardino di Eden."
(Silvia Montefoschi,
"Il sistema uomo. Catastrofe e rinnovamento", 1985)