La separazione simbolico e reale: critica dello gnosticismo

A proposito del dogma giovanneo non negoziabile dell'incarnazione di Dio



"L'altra svista in cui gli gnostici incorrono, sempre a causa della ristrettezza della visione di cui non si fanno consapevoli, è la separazione tra il simbolico e il reale, a danno di quest'ultimo s'intende.

[...]

A causa di questa separazione tra il reale e il simbolico, gli gnostici lasciavano cadere  nell'indifferenza gli avvenimenti concreti del mondo  come eventi estranei al processo di cristificazione. Ma con ciò finivano anche con il vanificare la testimonianza storica di Gesù, togliendo senso e valore al suo stesso patimento, come se il travaglio conoscitivo  dell'essere potesse realizzarsi altrove dall'essere stesso, che è poi la vita concreta dell'uomo.

Il valore simbolico della figura di Gesù, il Cristo,  e la figura stessa come personaggio storico non possono non coincidere.

[...]

Così allora la vita di Gesù di Nazaret, tutt'uno con il Cristo, simbolo di un momento trasformativo dell'essere, è l'oggettivazione individuale dell'universale e pertanto incarnazione di Dio."

(Silvia Montefoschi, "Il sistema uomo - Catastrofe e rinnovamento", 1985)





Contrordine?



Occorre però aggiungere anche quanto Silvia Montefoschi scrive a scenario mutato dopo il 1987 (cioè dopo la coniunctio GiovanniSilvia) e soprattutto dopo l'inizio della controrivoluzione che palesa che la nuova epoca è già un'epoca post-apocalittica.

In questa nuova epoca il soggetto super-riflessivo non dà più proprio alcun valore al mondo materiale e oggettuale sicchè sembra che si sia ritornati in qualche modo al modo di pensare dello gnosticismo e quindi a una nuova versione come c'è ne sono tante di vecchia logica della separazione ma non è così in quanto ciò che da significato è proprio lo scenario in cui si dà l'evento e in questo nuovo scenario già post-apocalittico, questo modo di sentire non è un riaffermarsi per l'ennesima volta nella storia del pensiero universale della sempre uguale logica della separazione ma paradossale a dirsi questo modo di pensare anzi di sentire è invece proprio la nuova e rivoluzionaria logica unitaria.

Attenzione quindi a credersi di camminare nell'errore quando invece si è proprio nella verità.
Non state a sentire coloro che invece guardano ancora a ciò che era, che è stato ma che già non è più,



Il progetto del Pensiero dal pensarsi al sentirsi


Detto in altri termini: non è l'uomo in alto che deve raggiungere e abbassarsi alla donna in basso ma è la donna in basso che deve innalzarsi e raggiungere l'uomo già in alto.
Dopodichè anche l'uomo che non poteva andare ancora più in alto sì che era costretto alla ripetizione e quindi alla ossessività può riprendere il cammino e procedere ulteriormente ma questa volta in due perchè è vietato andare oltre da soli.
Uso i termini "uomo" e "donna" ma si tratta del maschile e del femminile di Dio anche se sono sempre l'uomo e la donna in ogni caso.


Può essere questo un criterio ermeneutico possibile?

Alla luce di quanto qui scritto mi domando se posso utilizzare quanto detto come chiave di interpretazione degli ultimi 18 mesi di vita di Thèrèse Martin.
In che senso?
Nel senso che Thèrèse anche se donna era il maschile di Dio che era in Lei e con cui dialogava e la chiesa, l'ecclesia, la comunità, il gruppo, la famiglia, la coscienza collettiva invece era il femminile di Dio.
E allora?
Ebbene Thérèse aveva in progetto più inconsciamente che consciamente di abbandonare la chiesa.

Abbandonare la chiesa? Ma per andare dove?
Da questo punto di vista sembra una comica la resistenza che alcuni monsignori hanno fatto per impedire la sua canonizzazione a suo tempo: non amava veramente la chiesa perchè se l'avesse amata avrebbe elaborato e proposto una qualche riforma della chiesa per migliorarla.
Ma è comica anche la critica da un altro punto di vista che gli fa l'antropologa culturale Ida Magli: Teresa aveva capito la condizione della donna ma è stata solo una femminista imboscata.
Dunque Thèrèse non amava la chiesa, non amava nemmeno le donne, il suo genere se si deve dare credito all'accusa di "femminista imboscata" che in un certo senso è proprio vera.
Ma allora che cosa amava?
Thérèse voleva abbandonare la chiesa.

Thèrèse aveva intuito quanto Freud scriveva in un suo scritto del 1925 dal titolo "La negazione".
Teresina era già impazzita una volta da bambina sentendosi braccata dai padroni del significato e ora era rinsavita: sapeva che ribellarsi significava solo lavorare sì ma lavorare per i padroni del significato.

Thérèse viveva nel pensiero.
Troppo avanti rispetto ai tempi.
Più avanti della chiesa
più avanti delle stesse femministe


Thérèse diceva: "Nemmeno io mi capisco".
E proprio perchè nemmeno Lei si capiva era ambivalente proprio come Nietzsche che oscillando un po' parlava di "super-uomo" e un po' di "oltre-uomo".
Così Thèrèse può apparire come una monaca tradizionale ma non lo è affatto. Non nel senso che fosse una "moderna", no Thérèse non era una "moderna": aveva già iniziato l'esodo ma non l'ha potuto completare.

Ci voleva Freud
ci voleva ancora Jung
e poi ancora Silvia Montefoschi

ecco adesso c'è Andrea e Thérèse può procedere finalmente.

"Teresina non sono qui per dirti che si va dove dico io
no, si va dove volevi andare tu.
Non ti sei sbagliata
eri nella verità
semplicemente mancavo io.
Se ci fossi stato alla fine dell'ottocento ti avrei sostenuto
ma non c'ero ancora
oggi ci sono
dunque sostienimi tu."




Bibliografia

Quanto prima aggiungerò la bibliografia ma riguarda comunque uno degli scritti di Silvia Montefoschi pubblicato tra il 2002 e il 2009 forse proprio il "Breviario d'amore" del 2002.





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