Il racconto biblico del peccato originale e la sua interpretazione psicoanalitica
Conosciamo tutti come finisce questa storia relativa al "frutto proibito" di quel particolare albero del giardino dell'Eden:
[e infine il Signore Iddio li scacciò dal giardino di Eden e] “fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì”
(Genesi III, 21)
Non è che ci vuole molto a ritrovare in tutta questa storia archetipica i concetti portanti del testo dei padri della psicoanalisi, la moderna scienza che tutto rende intelligibile e così operando, tutto trasforma in senso evolutivo: proiezione, rimozione e inconscio.
Così la moderna scienza psicoanalitica si presenta, erede del movimento cristico che già a suo tempo aveva tentato di andare oltre l’ebraismo ovvero la coscienza adamica, quale nuova teoria e prassi evolutiva nel senso di redentiva dal peccato contro “il tutto”.
"Adamo ed Eva si nascosero così a vicenda la loro reciproca differenza. E poichè Adamo e Eva erano contenuti in una sola persona, fu questa stessa persona che nascose a sé quell’altro da sé che in sé portava.[...]Adamo ed Eva cessarono di essere una sola persona. Eva diventò la donna che, identificata con la materia, restò l’oggetto della creazione e Adamo diventò l’uomo che, identificato con il soggetto creatore, volle ancora plasmarla, e più a suo uso e consumo che a sua immagine e somiglianza.[...]L’uomo, nel rimuovere immediatamente dalla sua coscienza appena nata la contraddizione che la sostanziava, rimosse anche da sé il femminile e quindi le sue origini e smarrì nell’oblio le sue radici.[...]L’uomo tornò a commettere quel peccato che il Dio signore che lo aveva creato aveva già commesso: il peccato contro “il tutto”.
(Silvia Montefoschi, “Il sistema uomo – Catastrofe e rinnovamento”, 1985, cit. pag. 11)
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