Al di là della morte



“ [...] la redenzione dalla condizione mortale diventa possibile solo se ogni uomo accetta di morire, cioè accetta di sacrificare la propria identità di uomo, che sta nella coscienza individuale, e ciò non soltanto perché chi accetta di vedere la morte individuale può salvarsi come presenza dall’anonima e cieca morte collettiva, ma soprattutto perché chi salva così se stesso dalla morte cieca salva in se stesso la continuità della visione. 
Infatti, se la trasformazione del sistema conoscitivo che oggi si propone è il passaggio dal soggetto della coscienza individuale, che è l’unico soggetto autocosciente a tutt’oggi, al soggetto di una coscienza universale, come luogo e momento in cui l’universo rispecchi se stesso nella consapevolezza di questo suo rispecchiarsi, la trasformazione che si richiede non può che passare attraverso il sacrificio del soggetto della coscienza individuale. 
E solo chi raggiunge la consapevolezza della necessità di questo sacrificio, consapevolezza che lo salva come presenza, evita che la soggettività, come momento dell’autoriflessione dell’essere, si dissolva con il dissolversi totale della propria coscienza individuale. 
Sicché solo chi opera a questo passaggio opera all’avvento dell’autocoscienza universale, che infatti non si potrà mai dare se non quando tutti gli individui avranno raggiunto quella distanza riflessiva da cui vedere (ognuno in se stesso) l’ordinamento che li comprende. E ciò anche, s’intende, se i tutti saranno i pochi che riusciranno a compiere il trapasso. 
Così nel sogno di una donna: si pare uno scenario biblico: la sognatrice fa parte di una grande folla (non massa)  di individui che salgono in ordine sparso la vastissima gradinata di un tempio Maya nella versione a parallelepipedo  che ne fa contemporaneamente un immenso altare. Apparentemente tutti fanno gli stessi movimenti, come se fossero mossi da una voce cosmica: in effetti tutti sanno di essere individui e di avere un rapporto individuale e diretto con la voce, che li mantiene in continuo esercizio di trasformazione. Infatti tutti  sanno di essere vivi post mortem.  Giunge il comando: ma la voce risuona all’interno di ognuno  e tutti la sentono contemporaneamente. E’ una sola parola, un verbo all’imperativo: tutti si bloccano in un istante in una posizione plastica. Qui, per un effetto zoom, la sognatrice ha la visione panoramica che coglie se stessa fra gli altri, per poi rientrare, con una messa a fuoco ravvicinata, in sé. L’esercizio, essenziale alla sopravvivenza come  una esercitazione antiatomica, consiste ne mettere a fuoco il pensiero sul concetto-sensazione-esperita: vita-morte-vita = prendere coscienza di essere vivi nonostante si sia già morti. 
Perché l’universo umano si faccia un organismo consapevole di sé occorre che tutti gli elementi che lo compongono, e dal cui ordinamento esso trae il senso del suo esserci come totalità, abbiano in sé la consapevolezza di questa totalità, altrimenti l’ordinamento stesso, che rende l’organismo tale, non potrebbe darsi.”
(Silvia Montefoschi, “Il sistema uomo - Catastrofe e rinnovamento”, 1985, pag. 171-173)

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