Questioni di epistemologia: cosa è verità?

"Cosa è verità?"
Domandò Pilato, rappresentante dell'Impero al Rabbi Jeshua di Nazareth.



Nell'illustrazione il rapresentante di Roma e quindi del diritto romano che mostra alla folla dei giudei il rabbino eterodosso Jeshuà di Nazareth da loro accusato di bestemmiare Dio dicendosi e proclamandosi suo figlio e lo presenta dicendo: "Ecce Homo" ovvero  "Ecco l'uomo".

Duemila anni dopo  da quelle vicende un teologo prodotto dalla riforma del monaco agostiniano Martin Lutero e quindi G. W. F. Hegel diede una chiara risposta a quel quesito ben supportata tral'altro dalle moderne scienze biologiche che affermano anche'esse che "un organismo vivente non coincide con la somma delle sue parti".
Questa infatti fu la risposta del genio del modo di pensare dialettico Hegel:
""Verità è solo l'Intero"

Anche se noi abbiamo estrapolato per i nostri scopi questa sola affermazione dal discorso hegeliano riportiamo per correttezza comunque l'intero brano hegeliano in cui tale affermazione si presenta nel suo scritto più famoso:

"Il vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell'Assoluto si deve dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell'essere effettualità, soggetto, o svolgimento di se stesso. Per quanto possa sembrare contraddittorio che l'Assoluto sia da concepire essenzialmente come risultato, basta tuttavia riflettere alquanto per renderci capaci di questa parvenza di contraddizione. Il cominciamento, il principio, l'assoluto, come da prima e immediatamente vien pronunziato, è solo l'Universale. Se io dico: “tutti gli animali”, queste parole non potranno mai valere come una zoologia; con altrettanta evidenza balza agli occhi che le parole: “divino”, “assoluto”, “eterno”, ecc. non esprimono ciò che quivi è contenuto; e tali parole in effetto non esprimono che l'intuizione, intesa come l'immediato. Ciò che è pié di tali parole, e sia pure il solo passaggio a una proposizione, contiene un divenir-altro che deve venire riassimilato; ossia è una mediazione."

(G. W. F. Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, 1807)

Hegel muore nel 1831, passano gli anni, e nasce la psicoanalisi grazie a un nuovo Messia o nuovo Mosè come l'ebreo figlio di rabbini Sigmund Freud immaginava di essere malgrado egli proclamasse il suo ateismo e reputasse la fede in un Dio come una difesa nevrotica dell'inevitabile e naturale angoscia esistenziale.

Da questa linea genealogica nasce Silvia Montefoschi dall'inconscio universale soprannominata nel suo linguaggio onirico "la figlia di Hegel" la quale così definisce la direzione di una psicoanalisi allo stato dell'arte e quindi al termine della preistoria della psicoanalisi: 

""E infine saremo ciò che veramente  siamo"

così disse ancora questa volta la figlia di Hegel e femminile di Dio Silvia Montefoschi ribadendo dal punto di vista della "cura" psicoanalitica quanto già affermato nella "fenomenologia dello spirito":

"Verità è solo l'intero"

A cosa serve allora la psicoanalisi?
Per ricostituirci in un intero, un intero che però è un "risultato" come ci spiega Hegel. Purtroppo invece sembra che molti abbiano ripiegato sul moralismo per cui questo è secondo morale e quello non è secondo morale, questo è bene e questo è male, o sul "volemose bene", "non facciamo la guerra", "salviamo il pianeta".

La verità è invece che tutto ciò che è già è già l'intero, la manifestazione dell'intero o meglio l'intero che manifesta sè stesso nella sua realtà attuale che è di frammentazione.

Ho un ricordo di un momento della mia psicoanalisi con Silvia Montefoschi.
Un bel giorno nel corso di uno di questi incontri Silvia ad un certo punto mi disse:

"Scusami Andrea ma io di te non ci ho capito niente"

Al che io risposi:

"Non c'è problema Silvia: andiamo avanti.

Forse che già allora io invece avevo capito Hegel?

Attenzione però a non equivocare questo mio discorso perchè ho anche scritto in altri articoli e anzi ci ho creato addirittura tempo fa una pagina facebook dal titolo apparentemente anti-hegeliano:

"Dalla dialettica al dialogo oltre la dialettica"

definendo in questi mie articoli la dialettica come l'oppio degli intellettuali proprio come a suo tempo Marx-Engels definirono la religione l'oppio dei popoli.

E' solo una invettiva che lascia il tempo che trova o è giustificata?

L'argomentazione è che la dialettica illude ma la sintesi a cui conduce come risultato processuale si trasforma in nuova tesi che dà nascita a nuove antitesi e via così in un eterno ritorno apparentemente progressista che illude generazioni dopo generazioni di essere dei rivoluzionari mentre il dialogo non cerca la sintesi poichè è già immediatamente sintesi. Nel dialogo non c'è alcuna contraddizione poichè se anche può sembrare si diano contraddizioni, tali contraddizioni sono solo apparenti in quanto manifestazioni in ogni caso del Pensiero Uno che è la chiave ermeneutica della rivoluzione psicoanalitica dell'intersoggettiva radicale che poi altro non è che la stessa psicoanalisi allo stato dell'arte oltre la preistoria della psicoanalisi.

Questo discorso però non significa che il modo di procedere dialettico è sbagliato ma al contrario è proprio il modo corretto di procedere fino a che l'homo dialecticus non comprende che la dialettica è un trappolone per i gonzi e solo allora che sa, allora  "perseverare sed diabolicus".

Noi sappiamo.

Questo comunque è un discorso che la maggioranza degli umani non solo non può comprendere ma la loro risposta a una simile buona novella potrebbe essere solo questa: "grazie ma stiamo bene così."

E' l'attaccamento all'archetipo dell'eroe che impedisce di procedere oltre e l'eroe per antonomasia è proprio il cristo crocefisso, l'antropos.

Mai tentare di voler convertire il SRI che ormai non è più nemmeno tale ma più solo "ex SRI" nel momento che l'unico soggetto passa dal livello riflessivo del SRI al livello riflessivo del SSR.

"Il finito proprio perchè finito non può mai finire ma può solo scomparire
tuttavia quando scompare scompare in ASSOLUTO per non più ritornare" (Silvia Montefoschi)

"E le cose di prima sono passate" (Apocalisse di Giovanni Evangelista)
"E le cose di prima non sono mai state" (Nuova Apocalisse di GiovanniSilvia)

E' giunto quindi il momento per una stretta minoranza di umani di riprendere la via dell'esodo in un ultimo esodo oltre l'uni-verso:

1, abbandonare l'anima
2. e poi abbandonare anche il corpo

Che cos'è allora che fa difetto alla maggioranza degli umani dato che dal punto di vista hardware ma anche software sono identici alla minoranza di umani (gli ultimi mutanti e i soggetti dell'ultima rivoluzione dall'unica soggettività)?
Niente gli fa difetto ma più semplicemente la maggioranza degli otto miliardi degli umani attuali ma anche degli umani già trapassati in un Aldilà ("le tante dimore del Padre" Giovanni Evangelista) che chiamiamo extraterrestri che hanno colonizzato gli altri pianeti dell'uni-verso e che sembrerebbe siano in tutto 100 miliardi, costoro non hanno accolto e fatto propria la rivoluzione copernicana oltre l'antroporiferimento per cui anche se all'interno di questa maggioranza vi sono una molteplicità di visioni definite progressiste o conservative, reazionarie o rivoluzionarie, in verità tutte queste visioni hanno in comune l'appartenenza ad un unica famiglia filosofica, quella della vecchia umanità ancora antroporiferita.

Ecco quindi il vero senso dell'apparizione nella storia della via psicoanalitica alla conoscenza e il senso cioè la direzione di una psicoanalisi allo stato dell'arte è proprio una mutazione identitaria da un vecchia identità ancora storica a una nuova identità puramente relazionale.

"Non c'è problema Silvia andiamo avanti."

Eros non conosce contraddizoni perchè eros è logos.

E allora Silvia:




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LA FINE E' ANCHE IL FINE

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