Alcune suggestioni in merito al concetto di "Esodo"

IN CAMMINO

ovvero

la bestia umana dalla città degli uomini in cammino verso la città di Dio.

IL CONCETTO DI "ESODO"

Il filosofo Friedrich Nietzsche fa dire a Zarathustra nella sua opera principale "Così parlò Zarathustra" che per andare oltre la città degli uomini occorre attraversare la città.

Sembra quasi voler suggerire che non si può saltare un tale step evolutivo.




Ricordo che in uno dei tanti incontri psicoanalitici con Silvia Montefoschi questa disse:

"E allora perché non mi sono fatta monaca? Perché io dovevo operare nel mondo." 

Avendo quindi proprio lei elaborato il concetto di "Esodo" all'interno della nuova teoria-prassi psicoanalitica intersoggettiva radicale con la parola d'ordine:

1. abbandonare l'anima

2. e poi una volta abbandonata l'anima abbandonare anche il corpo

se ne deduce che adesso non c'è più da operare nel mondo e che quindi "tutto è compiuto" ovvero che adesso è proprio l'epoca ultima dell'esodo oltre l'uni-verso il che significa che non c'è più da operare, non c'è più da andare verso l'uno (uni-verso) ma ora è giunto proprio il momento di stare nell'uno oltre l'uni-verso.





Ettore Majorana


Nato a Catania nel 1906 - scomparso nel marzo 1938.
Fisico del gruppo di scienziati del laboratorio di Via Panisperna a Roma più noti come "I ragazzi di via Panisperna" tra cui Enrico Fermi.
Geniale fisico teorico si è occupato principalmente di fisica nucleare e della meccanica quantistica relativistica ma più in particolare della teoria dei neutrini.




«Sono nato a Catania il 5 agosto 1906. Ho seguito gli studi classici conseguendo la licenza liceale nel 1923; ho poi atteso regolarmente agli studi di ingegneria a Roma fino alla soglia dell'ultimo anno. Nel 1928, desiderando occuparmi di scienza pura, ho chiesto e ottenuto il passaggio alla facoltà di fisica e nel 1929 mi sono laureato in fisica teorica sotto la direzione di S.E. Enrico Fermi svolgendo la tesi: "La teoria quantistica dei nuclei radioattivi" e ottenendo i pieni voti e la lode. Negli anni successivi ho frequentato liberamente l'Istituto di Fisica di Roma seguendo il movimento scientifico e attendendo a ricerche teoriche di varia indole. Ininterrottamente mi sono giovato della guida sapiente e animatrice di S.E. il prof. Enrico Fermi.»

Majorana fu un bambino prodigio, rivelando una precoce attitudine verso la matematica e già all'età di cinque anni era in grado di svolgere mentalmente calcoli complicati e sotto la guida del padre si dedicò autonomamente allo studio della fisica, disciplina che sin da piccolo lo affascinava. Ettore terminò le elementari e successivamente il ginnasio, completato in quattro anni, presso il collegio "Massimiliano Massimo" dei Gesuiti a Roma. Majorana possedeva un'ottima cultura umanistica (apprezzava molto il conterraneo Luigi Pirandello).

Quando anche la famiglia si trasferì a Roma nel 1921, continuò a frequentare l'istituto Massimo come esterno per il primo e secondo anno del liceo classico. Frequentò il terzo anno presso il Liceo Torquato Tasso, e nella sessione estiva del 1923 conseguì la maturità classica. Terminati gli studi liceali Ettore si iscrisse alla facoltà d'Ingegneria. Fra i suoi compagni di corso vi era Emilio Segrè.

Emilio Segrè, giunto al quarto anno di studi d'ingegneria, decise di passare a fisica: a questa scelta, che meditava da tempo, non erano stati estranei gli incontri (estate del 1927) con Franco Rasetti ed Enrico Fermi, allora ventiseienne, da poco nominato professore ordinario di fisica teorica all'Università di Roma, cattedra creata in quel periodo da Orso Mario Corbino; si noti che, della commissione che assegnò la cattedra a Fermi, era membro Quirino Majorana.

Segrè riuscì a convincere anche Majorana a passare a fisica, passaggio avvenuto dopo un incontro con Fermi. Ecco il resoconto di Amaldi su quell'incontro:

«[…] Nell'autunno 1927 e all'inizio dell'inverno 1927-28 Emilio Segrè, nel nuovo ambiente che si era formato da pochi mesi attorno a Fermi, parlava frequentemente delle eccezionali qualità di Ettore Majorana e, contemporaneamente, tentava di convincere Ettore Majorana a seguire il suo esempio, facendogli notare come gli studi di fisica fossero assai più consoni di quelli di ingegneria alle sue aspirazioni scientifiche e alle sue capacità speculative. Egli venne all'Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell'occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un'andatura timida, quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell'insieme, l'aspetto di un saraceno. Fermi lavorava allora al modello statistico dell'atomo che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche in corso all'Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello, mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori sull'argomento e, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto qualche chiarimento, se ne andò senza manifestare i suoi pensieri e le sue intenzioni. Il giorno dopo, nella tarda mattinata, Majorana si presentò di nuovo all'istituto e chiese di vedere la tabella. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un foglietto su cui era scritta una analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattr'ore, trasformando, l'equazione del secondo ordine non lineare di Thomas-Fermi in una equazione di Riccati che poi aveva integrato numericamente. Confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, disse che la tabella di Fermi andava bene e, uscito dallo studio, se ne andò dall'Istituto.»

«Majorana era quindi tornato non per verificare se la tabella da lui calcolata nelle ultime 24 ore fosse corretta, bensì per verificare se fosse esatta quella di Fermi»

(Leonardo Sciascia)

Majorana passò a fisica e cominciò a frequentare l'Istituto di Via Panisperna regolarmente fino alla laurea, meno di due anni dopo. Si laureò, con il voto di 110/110 e lode, il 6 luglio 1929, relatore Enrico Fermi, presentando una tesi sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi. All'istituto Ettore trascorreva molto tempo in biblioteca, preferendo il lavoro solitario allo spirito di gruppo che rese celebri i giovani scienziati che attorniavano Fermi. Fu l'unico a non lavorare in collaborazione diretta con Fermi, anche in qualità di teorico, pur essendo il solo in grado di interagirvi alla pari.

Un altro aneddoto ricorda il commento sarcastico alla scoperta del neutrone che valse successivamente il premio Nobel per la fisica a James Chadwick:

«Che cretini! Hanno scoperto il protone neutro e non se ne accorgono!»

In quel periodo effettuò diversi studi, alcuni dei quali confluirono in diversi articoli su argomenti di spettroscopia e su un articolo sulla descrizione di particelle con spin arbitrario. Effettuò anche brevi studi su moltissimi argomenti che spaziavano dalla fisica terrestre all'ingegneria elettrica, alla termodinamica, allo studio di alcune reazioni nucleari non molto diverse da quelle che sono alla base della bomba atomica. È stato possibile ricostruire in parte il percorso di questi studi in base a una serie di manoscritti, i Quaderni e i Volumetti, custoditi dalla Domus Galilaeana di Pisa e pubblicati nel 2006.

Per il carattere distaccato, critico e scontroso, allo stesso tempo autocritico e modesto gli fu affibbiato il soprannome di “Grande inquisitore” quando anche tutti gli altri giovani fisici dell’Istituto di via Panisperna avevano un soprannome mediato in gran parte dalla gerarchia ecclesiastica (Fermi era il “Papa”, Rasetti, che spesso sostituiva Fermi in alcune mansioni importanti, il “Cardinale Vicario”, Corbino il “Padreterno”, Segrè “Basilisco” (per il suo carattere mordace), mentre Amaldi, dalle delicate fattezze quasi femminee, era chiamato "Gote rosse", o “Adone”, un titolo di cui non era affatto entusiasta).

Ettore Majorana teorizzò che i neutrini avevano massa in contrasto con il fisico Paul Dirac il quale invece sosteneva che i neutrini erano privi di massa.


IL MISTERO TUTT'ORA INSOLUTO DELLA SUA SCOMPARSA

Subito dopo aver appreso della sua scomparsa Enrico Fermi, che lo aveva paragonato per capacità a Galilei o Newton, dirà di lui:

«Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito. Majorana aveva quello che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso»




Ultima lettera di Majorana. 

«Caro Carrelli, Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all'insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.»

Ma Majorana non comparve più.

S'iniziarono le ricerche. Delle indagini si occupò il capo della polizia Arturo Bocchini, sollecitato da una lettera urgente di Giovanni Gentile. Del caso si interessò lo stesso Mussolini che ricevette una "supplica" della madre di Majorana e una lettera di Enrico Fermi; sulla copertina del fascicolo in questione scrisse: voglio che si trovi. E Bocchini, evidentemente, per alcuni indizi poco incline all'ipotesi del suicidio, aggiunse di sua mano: i morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire. Fu anche proposta una ricompensa (30 000 lire) per chi ne desse notizie, ma non si seppe mai più nulla di lui, almeno non in modo inequivocabile.

Il professor Vittorio Strazzeri dell'Università di Palermo asserì di averlo visto a bordo alle prime luci dell'alba del 27 marzo mentre il piroscafo sul quale era imbarcato si accingeva ad attraccare a Napoli (in realtà egli condivise la cuccetta con un giovane viaggiatore che, secondo la descrizione, corrispondeva a Majorana, da lui mai conosciuto personalmente). Un marinaio asserì di averlo scorto, dopo aver doppiato Capri, non molto prima che il piroscafo attraccasse, e la società Tirrenia, anche se l'episodio non fu mai confermato, asserì che il biglietto di Majorana era tra quelli testimonianti lo sbarco. Anche un'infermiera che lo conosceva sostenne di averlo visto, in questo caso nei primi giorni dell'aprile 1938, mentre camminava per strada a Napoli. Ma non fu mai trovata nessuna traccia documentata della sua destinazione e le ricerche in mare non diedero alcun esito.

Le indagini furono condotte per circa tre mesi e si estesero a una Residenza dei Gesuiti che si trovava vicino a dove lui abitava, dove pare si fosse rivolto per chiedere una qualche sorta di aiuto, forse come reminiscenza del suo periodo scolastico presso i Gesuiti di Roma. La famiglia seguì anche una pista che sembrava portare al Convento di S. Pasquale di Portici, ma alle domande rivoltegli il padre guardiano rispose: "Perché volete sapere dov'è? L'importante è che egli sia felice".

Ci fu una ridda di ipotesi e indizi, ma non si ebbero mai certezze sulla sorte di Majorana: nelle sue lettere egli non parla mai di suicidio, ma solo di scomparsa ed era persona attenta alle parole.




Edoardo Amaldi scrisse nel suo Ricordo:

«Aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, che era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto non lo sia per la stragrande maggioranza degli uomini»

Da ultimo, sull'intera vicenda si sono espressi più volte i discendenti della famiglia con un'opinione fortemente critica (giudicando ad es. incompatibili le foto di Bini in Venezuela con quelle di Majorana), stanchi delle continue e inutili speculazioni sul caso, ritenute semplici bufale giornalistiche, invitando anche a lasciar stare definitivamente una vicenda, divenuta ormai nei decenni oscura e insolubile e verosimilmente anche dai connotati strettamente personali.

UNA MALATTIA MENTALE?

Per i suoi tratti di personalità simil schizoidi e allo stesso tempo eccentrici è stato definito da alcuni come il Kafka o il Rimbaud della fisica, mentre alcuni storici della fisica lo collocano a metà tra Einstein e Newton.

Della vita di Majorana e della sua misteriosa scomparsa se ne è occupata anche la settima arte. Ettore Majorana è infatti uno dei personaggi principali del film, diretto da Gianni Amelio, I ragazzi di via Panisperna, trasmesso dalla Rai come miniserie in due puntate nel 1990. In questo film si sposa la tesi che Majorana avrebbe pianificato la propria sparizione perché spaventato dai potenziali effetti distruttivi dell'energia nucleare, e avrebbe poi vissuto una vita umile in Sicilia.


Ludwig Wittegenstein


«Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere.»

«Wovon man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen.»

(Ludwig Wittgenstein, "Tractatus logico-philosophicus")


Nell'immagine Wittgenstein ritenuto uno dei più grandi filosofi del novecento dopo la scelta di vita di fare il maestro elementare in un paesino sperduto dell'Irlanda.


Ludwig Wittgenstein nato a Vienna, il 26 aprile 1889 muore a Cambridge il 29 aprile 1951.

Studioso e poi eremita e poi ancora volontario nella prima guerra mondial venne fatto prigioniero dagli italiani. Liberato alla fine della guerra e tornato in Austria nel 1919 venne influenzato dal cristianesimo francescano del russo Lev Tolstoj e ritenendo che il denaro fosse la vera fonte di ogni corruzione decise di vivere con semplicità senza inutili zavorre così volle liberarsi delle sue cospicue ricchezze ereditate di cui beneficiò anche il suo amico e poeta Rainer Maria Rilke.
Nel 1922 con presentazione di Bertrand Russel pubblicò in Inghilterra il "Tractatus Logico-Phlosophicus".
Il filosofo Bertrand Russell lo ha descritto come "il più perfetto esempio di genio che abbia mai conosciuto: appassionato, profondo, intenso, e dominante". 
Nella convinzione di avere risolto definitivamente "tutti i problemi", come diceva il finale della sua prefazione, Wittgenstein abbandonò coerentemente l'ambiente accademico e metaforicamente anche la filosofia con l'intenzione, come dirà in seguito a un suo studente, di "voler continuare a pensare" in un altro modo.
Così da logico e filosofo del linguaggio oltre che ingegnere, ad un dato momento del suo percorso di vita prende una drastica decisione e si auto-esilia in un paesino sperduto dove visse come uno sconosciuto maestro elementare.


INCOMPRENSIONI, EQUIVOCI E ETICHETTE

Appena pubblicato, il "Tractatus Logico-Philosophicus" (il titolo peraltro gli era stato suggerito da Moore con l'evidente intenzione di rievocare il "Tractatus Theologico-Politicus" di Spinoza), diventò punto di riferimento per il Circolo di Vienna al quale il filosofo austriaco non aveva mai aderito ufficialmente, pur frequentandolo, criticandone i fraintendimenti della sua opera. Il pensiero di Wittgenstein ha profondamente influenzato lo sviluppo della filosofia analitica (in particolare la filosofia del linguaggio, la filosofia della mente e la teoria dell'azione) e gli sviluppi recenti della cosiddetta filosofia continentale. La sua opera ha avuto una certa eco anche oltre la filosofia strettamente intesa, in campi quali la teoria dell'informazione e la cibernetica, ma anche l'antropologia, la psicologia e altri settori delle scienze umane.

Wittgenstein è stato un pensatore anomalo per vari motivi (per la personalità e la condotta di vita particolare a tratti originale, anticonformista e schiva, l'avversione alla filosofia tradizionale, il carattere spesso criptico ed enigmatico dei suoi scritti, il lungo silenzio), e la sua opera è oggetto di continue reinterpretazioni. Lo stesso titolo della sua opera, l'unica pubblicata dall'autore, può essere frainteso; significa che l'interesse è logico in una dimensione prioritaria. Infatti Wittgenstein rifiutò titoli consimili come logica filosofica (lettera a Ogden), intendendo affermare una priorità assoluta della logica e, insieme, l'idea che la logica è essenzialmente filosofica (si tenga conto che in quegli anni la logica aveva assunto valore matematico, soprattutto con Russell, Peano e Frege) e come tale non ha bisogno dello specifico aggettivo.

Nel testo tuttavia, data la sua complessità, Wittgenstein non si limita alla architettura logica (atomismo logico) come soluzione definitiva del rapporto tra il piano reale fenomenico e il piano linguistico, individuando appunto nella necessità di una struttura logica una matrice comune. Soprattutto nella parte conclusiva del Tractatus Wittgenstein rende manifesto l'imbarazzo in cui la filosofia si trova nel tentativo di dire qualcosa come "quale sia il senso del mondo" poiché sarebbe impossibile ricercare entro i limiti del mondo stesso, definiti dal linguaggio, un qualche senso. Nella proposizione 6.41 del Tractatus Wittgenstein scrive: "Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non vi è in esso alcun valore - né, se vi fosse avrebbe un valore..."

L'estrema analiticità e precisione del filosofo sono le cause di molte incomprensioni di questa grande opera che, a differenza delle altre pubblicate dagli eredi, non è affatto equivoca. Il metodo di numerazione di ogni gruppo di proposizioni rende facile l'interpretazione rispetto alla maggior parte delle opere pubblicate postume, queste ultime spesso oscillanti nella metodologia di presentazione dei frammenti. 

UNA MALATTIA MENTALE?

Tale difficoltà ha contribuito a creare un'immagine oracolare e misteriosa del filosofo con tentativi di spiegazione esistenziali (ad esempio la sua omosessualità) o patologiche (da taluni studiosi della biografia del filosofo austriaco è stata avanzata l'ipotesi che questi potesse avere la Sindrome di Asperger, una forma di autismo ad alta funzionalità).


Thérèse Martin 


Teologa e monaca di clausura nasce ad Alençon il 2 gennaio 1873 e muore di tubercolosi a Lisieux il 30 settembre 1897.
Guarita inspiegabilmente nel natale del 1886 da una malattia mentale di cui sofferse a lungo con alti e bassi a partire dall'esperienza vissuta della morte della madre nel 1877 a soli quattro anni fino al natale del 1886 quando "cominciai allora una corsa da gigante".
Dopo essersi recata a Roma in Vaticano dal Papa leone XIII per chiedere il permesso di potersi chiudere in monastero pur avendo solo 15 anni entrò nel monastero di Lisieux di lì a poco nella primavera del 1888 ma non passò molto che gli sorsero dei dubbi su questa sua scelta, dubbi superati più volte ma che spesso ritorneranno nuovamente fino alla sua morte dopo nove anni di vita monastica.
Manifestò nei suoi scritti il desiderio di poter abitare un nuovo monastero avente solo lei come unica monaca. In quel tempo la mistica francese viveva nel monastero carmelitano di Lisieux, una comunità di circa 25 monache.
Tutta la sua teologia di fonda sulla tesi del "nascondimento", tesi che nel mio gergo rivoluzionario ma anche psicoanalitico da allievo della biologa evoluzionista e specialista in genetica oltre che psicoanalista Silvia Montefoschi ho tradotto con il termine di "entrare in clandestinità".


Thérèse Martin pensatrice della dimensione temporale
che oggi dopo Einstein è più corretto dire "spazio-temporale".



BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA



Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.