IN CAMMINO
ovvero
la bestia umana dalla città degli uomini in cammino verso la città di Dio.
IL CONCETTO DI "ESODO"
Il filosofo Friedrich Nietzsche fa dire a Zarathustra nella sua opera principale "Così parlò Zarathustra" che per andare oltre la città degli uomini occorre attraversare la città.
Sembra quasi voler suggerire che non si può saltare un tale step evolutivo.
"E allora perché non mi sono fatta monaca? Perché io dovevo operare nel mondo."
Avendo quindi proprio lei elaborato il concetto di "Esodo" all'interno della nuova teoria-prassi psicoanalitica intersoggettiva radicale con la parola d'ordine:
1. abbandonare l'anima
2. e poi una volta abbandonata l'anima abbandonare anche il corpo
se ne deduce che adesso non c'è più da operare nel mondo e che quindi "tutto è compiuto" ovvero che adesso è proprio l'epoca ultima dell'esodo oltre l'uni-verso il che significa che non c'è più da operare, non c'è più da andare verso l'uno (uni-verso) ma ora è giunto proprio il momento di stare nell'uno oltre l'uni-verso.
Ettore Majorana
Majorana fu un bambino prodigio, rivelando una precoce attitudine verso la matematica e già all'età di cinque anni era in grado di svolgere mentalmente calcoli complicati e sotto la guida del padre si dedicò autonomamente allo studio della fisica, disciplina che sin da piccolo lo affascinava. Ettore terminò le elementari e successivamente il ginnasio, completato in quattro anni, presso il collegio "Massimiliano Massimo" dei Gesuiti a Roma. Majorana possedeva un'ottima cultura umanistica (apprezzava molto il conterraneo Luigi Pirandello).
Quando anche la famiglia si trasferì a Roma nel 1921, continuò a frequentare l'istituto Massimo come esterno per il primo e secondo anno del liceo classico. Frequentò il terzo anno presso il Liceo Torquato Tasso, e nella sessione estiva del 1923 conseguì la maturità classica. Terminati gli studi liceali Ettore si iscrisse alla facoltà d'Ingegneria. Fra i suoi compagni di corso vi era Emilio Segrè.
Emilio Segrè, giunto al quarto anno di studi d'ingegneria, decise di passare a fisica: a questa scelta, che meditava da tempo, non erano stati estranei gli incontri (estate del 1927) con Franco Rasetti ed Enrico Fermi, allora ventiseienne, da poco nominato professore ordinario di fisica teorica all'Università di Roma, cattedra creata in quel periodo da Orso Mario Corbino; si noti che, della commissione che assegnò la cattedra a Fermi, era membro Quirino Majorana.
Segrè riuscì a convincere anche Majorana a passare a fisica, passaggio avvenuto dopo un incontro con Fermi. Ecco il resoconto di Amaldi su quell'incontro:
«[…] Nell'autunno 1927 e all'inizio dell'inverno 1927-28 Emilio Segrè, nel nuovo ambiente che si era formato da pochi mesi attorno a Fermi, parlava frequentemente delle eccezionali qualità di Ettore Majorana e, contemporaneamente, tentava di convincere Ettore Majorana a seguire il suo esempio, facendogli notare come gli studi di fisica fossero assai più consoni di quelli di ingegneria alle sue aspirazioni scientifiche e alle sue capacità speculative. Egli venne all'Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi ove si trovava anche Rasetti. Fu in quell'occasione che io lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un'andatura timida, quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell'insieme, l'aspetto di un saraceno. Fermi lavorava allora al modello statistico dell'atomo che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche in corso all'Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello, mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori sull'argomento e, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto qualche chiarimento, se ne andò senza manifestare i suoi pensieri e le sue intenzioni. Il giorno dopo, nella tarda mattinata, Majorana si presentò di nuovo all'istituto e chiese di vedere la tabella. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un foglietto su cui era scritta una analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattr'ore, trasformando, l'equazione del secondo ordine non lineare di Thomas-Fermi in una equazione di Riccati che poi aveva integrato numericamente. Confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, disse che la tabella di Fermi andava bene e, uscito dallo studio, se ne andò dall'Istituto.»
«Majorana era quindi tornato non per verificare se la tabella da lui calcolata nelle ultime 24 ore fosse corretta, bensì per verificare se fosse esatta quella di Fermi»
(Leonardo Sciascia)
Majorana passò a fisica e cominciò a frequentare l'Istituto di Via Panisperna regolarmente fino alla laurea, meno di due anni dopo. Si laureò, con il voto di 110/110 e lode, il 6 luglio 1929, relatore Enrico Fermi, presentando una tesi sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi. All'istituto Ettore trascorreva molto tempo in biblioteca, preferendo il lavoro solitario allo spirito di gruppo che rese celebri i giovani scienziati che attorniavano Fermi. Fu l'unico a non lavorare in collaborazione diretta con Fermi, anche in qualità di teorico, pur essendo il solo in grado di interagirvi alla pari.
Un altro aneddoto ricorda il commento sarcastico alla scoperta del neutrone che valse successivamente il premio Nobel per la fisica a James Chadwick:
«Che cretini! Hanno scoperto il protone neutro e non se ne accorgono!»
In quel periodo effettuò diversi studi, alcuni dei quali confluirono in diversi articoli su argomenti di spettroscopia e su un articolo sulla descrizione di particelle con spin arbitrario. Effettuò anche brevi studi su moltissimi argomenti che spaziavano dalla fisica terrestre all'ingegneria elettrica, alla termodinamica, allo studio di alcune reazioni nucleari non molto diverse da quelle che sono alla base della bomba atomica. È stato possibile ricostruire in parte il percorso di questi studi in base a una serie di manoscritti, i Quaderni e i Volumetti, custoditi dalla Domus Galilaeana di Pisa e pubblicati nel 2006.
Per il carattere distaccato, critico e scontroso, allo stesso tempo autocritico e modesto gli fu affibbiato il soprannome di “Grande inquisitore” quando anche tutti gli altri giovani fisici dell’Istituto di via Panisperna avevano un soprannome mediato in gran parte dalla gerarchia ecclesiastica (Fermi era il “Papa”, Rasetti, che spesso sostituiva Fermi in alcune mansioni importanti, il “Cardinale Vicario”, Corbino il “Padreterno”, Segrè “Basilisco” (per il suo carattere mordace), mentre Amaldi, dalle delicate fattezze quasi femminee, era chiamato "Gote rosse", o “Adone”, un titolo di cui non era affatto entusiasta).
Ettore Majorana teorizzò che i neutrini avevano massa in contrasto con il fisico Paul Dirac il quale invece sosteneva che i neutrini erano privi di massa.
IL MISTERO TUTT'ORA INSOLUTO DELLA SUA SCOMPARSA
Subito dopo aver appreso della sua scomparsa Enrico Fermi, che lo aveva paragonato per capacità a Galilei o Newton, dirà di lui:
«Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito. Majorana aveva quello che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso»
Ultima lettera di Majorana.
«Caro Carrelli, Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all'insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.»
Ma Majorana non comparve più.
S'iniziarono le ricerche. Delle indagini si occupò il capo della polizia Arturo Bocchini, sollecitato da una lettera urgente di Giovanni Gentile. Del caso si interessò lo stesso Mussolini che ricevette una "supplica" della madre di Majorana e una lettera di Enrico Fermi; sulla copertina del fascicolo in questione scrisse: voglio che si trovi. E Bocchini, evidentemente, per alcuni indizi poco incline all'ipotesi del suicidio, aggiunse di sua mano: i morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire. Fu anche proposta una ricompensa (30 000 lire) per chi ne desse notizie, ma non si seppe mai più nulla di lui, almeno non in modo inequivocabile.
Il professor Vittorio Strazzeri dell'Università di Palermo asserì di averlo visto a bordo alle prime luci dell'alba del 27 marzo mentre il piroscafo sul quale era imbarcato si accingeva ad attraccare a Napoli (in realtà egli condivise la cuccetta con un giovane viaggiatore che, secondo la descrizione, corrispondeva a Majorana, da lui mai conosciuto personalmente). Un marinaio asserì di averlo scorto, dopo aver doppiato Capri, non molto prima che il piroscafo attraccasse, e la società Tirrenia, anche se l'episodio non fu mai confermato, asserì che il biglietto di Majorana era tra quelli testimonianti lo sbarco. Anche un'infermiera che lo conosceva sostenne di averlo visto, in questo caso nei primi giorni dell'aprile 1938, mentre camminava per strada a Napoli. Ma non fu mai trovata nessuna traccia documentata della sua destinazione e le ricerche in mare non diedero alcun esito.
Le indagini furono condotte per circa tre mesi e si estesero a una Residenza dei Gesuiti che si trovava vicino a dove lui abitava, dove pare si fosse rivolto per chiedere una qualche sorta di aiuto, forse come reminiscenza del suo periodo scolastico presso i Gesuiti di Roma. La famiglia seguì anche una pista che sembrava portare al Convento di S. Pasquale di Portici, ma alle domande rivoltegli il padre guardiano rispose: "Perché volete sapere dov'è? L'importante è che egli sia felice".
Ci fu una ridda di ipotesi e indizi, ma non si ebbero mai certezze sulla sorte di Majorana: nelle sue lettere egli non parla mai di suicidio, ma solo di scomparsa ed era persona attenta alle parole.
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Edoardo Amaldi scrisse nel suo Ricordo:
«Aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, che era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto non lo sia per la stragrande maggioranza degli uomini»
Da ultimo, sull'intera vicenda si sono espressi più volte i discendenti della famiglia con un'opinione fortemente critica (giudicando ad es. incompatibili le foto di Bini in Venezuela con quelle di Majorana), stanchi delle continue e inutili speculazioni sul caso, ritenute semplici bufale giornalistiche, invitando anche a lasciar stare definitivamente una vicenda, divenuta ormai nei decenni oscura e insolubile e verosimilmente anche dai connotati strettamente personali.
UNA MALATTIA MENTALE?
Per i suoi tratti di personalità simil schizoidi e allo stesso tempo eccentrici è stato definito da alcuni come il Kafka o il Rimbaud della fisica, mentre alcuni storici della fisica lo collocano a metà tra Einstein e Newton.
Della vita di Majorana e della sua misteriosa scomparsa se ne è occupata anche la settima arte. Ettore Majorana è infatti uno dei personaggi principali del film, diretto da Gianni Amelio, I ragazzi di via Panisperna, trasmesso dalla Rai come miniserie in due puntate nel 1990. In questo film si sposa la tesi che Majorana avrebbe pianificato la propria sparizione perché spaventato dai potenziali effetti distruttivi dell'energia nucleare, e avrebbe poi vissuto una vita umile in Sicilia.
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